Avanzare proposte nelle istituzioni, protestare nelle sedi politiche non ha prodotto alcun correttivo della politica antimeridionalista della destra di Governo. Lo hanno compreso da ultimi anche i deputati del PdL meridionali, ma non tutti i pugliesi per la verità, i quali hanno, inutilmente, giocato la carta della relazione diretta con il premier per tentare di contrastare l’abbandono della tariffa unica dell’energia elettrica e l’introduzione di tre macro-zone.
Le negative conseguenze economiche del provvedimento, approvato nella sua versione leghista-nordista, le ha già esplicitate la Confindustria pugliese, attirandosi gli strali dei colleghi settentrionali, perché hanno osato contestare un decreto evidentemente concordato dal Governo con i vertici confindustriali.
Le negative conseguenze politiche sono meno evidenti, ma ben più gravi: la diversificazione dei costi energetici produrrà la rottura dell’unità nazionale e, ancor più, del patto di solidarietà tra regioni più ricche e regioni meno ricche. Si porta a compimento e si offre dignità politica, dunque, a quanto finora è stato fatto surrettiziamente dal Governo con il ‘sacco’ del Fas.
Compiuto questo passo, l’introduzione delle gabbie salariali, ad esempio, non sarà più un tabù; così come non lo sarà lo smantellamento di alcuni servizi pubblici essenziali, vedi il trasporto ferroviario e aereo, in ragione dell’antieconomicità.
Così si rompe, si spacca il Paese.
Se questo è il problema, la politica meridionale e, a questo punto, meridionalista ha il dovere di elaborare ed attuare soluzioni capaci di contrastare tale perversa strategia e, possibilmente, rilanciare lo sviluppo contando sulle proprie risorse.
Il settore energetico può essere un banco di prova.
Berlusconi e la Lega impiegheranno 24 mesi per smantellare la tariffa unica.
Vendola e il centrosinistra pugliese si impegnino, nei prossimi 12 mesi, a sbloccare gli investimenti nella produzione di energia da fonti rinnovabili, per consentire ai Comuni di utilizzare parte delle royalties per colmare il differenziale del costo energetico, così da consentire alle aziende locali di conservare competitività e, magari, promuovere l’attrazione di investimenti.
Contestualmente, Vendola e il centrosinistra pugliese si adoperino per incrementare la fiscalità locale a carico degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti fossili; vincolando l’extragettito all’implementazione delle infrastrutture di distribuzione dell’energia stessa. Così che il tributo maggiore si trasformi in un’occasione di miglioramento dell’efficienza dell’intero sistema energetico regionale e, dunque, sia restituito in altra forma anche alle imprese che lo versano.
Mi pare un modo razionale e solidale di mettere a frutto tanto il surplus energetico prodotto in Puglia che le potenzialità energetiche del nostro territorio. Altrimenti, al Nord continueranno a produrre sviluppo e reddito; a noi resteranno solo i fumi del camino di Cerano.
Le negative conseguenze economiche del provvedimento, approvato nella sua versione leghista-nordista, le ha già esplicitate la Confindustria pugliese, attirandosi gli strali dei colleghi settentrionali, perché hanno osato contestare un decreto evidentemente concordato dal Governo con i vertici confindustriali.
Le negative conseguenze politiche sono meno evidenti, ma ben più gravi: la diversificazione dei costi energetici produrrà la rottura dell’unità nazionale e, ancor più, del patto di solidarietà tra regioni più ricche e regioni meno ricche. Si porta a compimento e si offre dignità politica, dunque, a quanto finora è stato fatto surrettiziamente dal Governo con il ‘sacco’ del Fas.
Compiuto questo passo, l’introduzione delle gabbie salariali, ad esempio, non sarà più un tabù; così come non lo sarà lo smantellamento di alcuni servizi pubblici essenziali, vedi il trasporto ferroviario e aereo, in ragione dell’antieconomicità.
Così si rompe, si spacca il Paese.
Se questo è il problema, la politica meridionale e, a questo punto, meridionalista ha il dovere di elaborare ed attuare soluzioni capaci di contrastare tale perversa strategia e, possibilmente, rilanciare lo sviluppo contando sulle proprie risorse.
Il settore energetico può essere un banco di prova.
Berlusconi e la Lega impiegheranno 24 mesi per smantellare la tariffa unica.
Vendola e il centrosinistra pugliese si impegnino, nei prossimi 12 mesi, a sbloccare gli investimenti nella produzione di energia da fonti rinnovabili, per consentire ai Comuni di utilizzare parte delle royalties per colmare il differenziale del costo energetico, così da consentire alle aziende locali di conservare competitività e, magari, promuovere l’attrazione di investimenti.
Contestualmente, Vendola e il centrosinistra pugliese si adoperino per incrementare la fiscalità locale a carico degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti fossili; vincolando l’extragettito all’implementazione delle infrastrutture di distribuzione dell’energia stessa. Così che il tributo maggiore si trasformi in un’occasione di miglioramento dell’efficienza dell’intero sistema energetico regionale e, dunque, sia restituito in altra forma anche alle imprese che lo versano.
Mi pare un modo razionale e solidale di mettere a frutto tanto il surplus energetico prodotto in Puglia che le potenzialità energetiche del nostro territorio. Altrimenti, al Nord continueranno a produrre sviluppo e reddito; a noi resteranno solo i fumi del camino di Cerano.
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