Un pregevole articolo di Stefano Bocconetti ("Che accade se i democratici riscoprono le parole di sinistra?") pubblicato su "Liberazione" dello scorso mercoledì 8 ragiona attorno al tema della natura o meno di sinistra del futuro partito democratico. Ipotizza un certo appeal anche verso l'area più gauche, forse, per la capacità attrattiva di Walter Veltroni. Non certo per il possibile ruolo di chi è rimasto nella fase costituente del Pd avendo condotto la battaglia congressuale nelle mozioni che pur con linguaggi differenziati si contrapponevano a quell'approdo. Può essere, naturalmente, anche se pare un po' eccessiva la condanna inflitta anzitempo di finire relegati al folklore, ancorché quest'ultimo meriti qualche considerazione nell'anno gramsciano.
In verità, chi di noi non ha ritenuto giusto seguire Sinistra democratica, pur non avendo avuto alcuna folgorazione sulla via di Damasco, ha pensato e pensa possibile influire nella e sulla fase costituente del Pd, non per ricavarsi una nicchia, bensì per influire sulla natura della nuova aggregazione, affinché possa far parte di una nuova sinistra plurale e non diventare la paventata operazione moderata o neo-centrista. Del resto, come dice lo stesso Bocconetti, il clima con Veltroni in scena è già cambiato, ha riacceso tante speranze, superando quel clima così amaramente chiuso e bloccato della stagione congressuale dei Ds e di quella immediatamente successiva. Insomma, la scommessa da fare è seria e piuttosto impegnativa, va al di là persino della piattaforma programmatica intesa in senso stretto. Si tratta in breve di considerare la costituente del Pd non un processo di mera ricerca del consenso rispetto a scelte confezionate, ma un campo aperto di lotta politica.
Ecco il motivo di fondo per cui si è ritenuto utile e per certi versi doveroso provare a condurre un tentativo da non considerare sconfitto in partenza. Perché mai, tra l'altro? L'eventuale sconfitta dell'ipotesi di dare un senso di sinistra a tale tentativo non sarebbe una sconfitta di un povero drappello folkloristico, ma forse di qualcosa di più grande. Infatti, la sinistra costruita e immaginata in modo differenziato è, nell'epoca della rete e della perdita di forza delle grandi narrazioni del novecento, l'unico modo per ricostruire una sinistra del nuovo secolo, quello che verosimilmente dovrà fare i conti con la politica post-partitica e con la re- identificazione della soggettività di sinistra.
Certo, fu ben dura in quei giorni attorno al congresso dei Ds praticare una scelta diversa da quella delle compagne e dei compagni di sempre. Tuttavia, la ragione diceva che chi era rimasto dopo la svolta dell'89 (da cui comincia la vicenda di oggi, in ultima istanza) del Pci poteva e doveva correre il rischio di imbarcarsi in tale complessa vicenda, per mutarne alcuni - almeno - dei segni prevalenti. A ognuno il suo pezzetto di storia. Rifondazione comunista si sta muovendo con coraggio e con scelte impegnative, nulla da dire. Si avverte, però, l'urgenza e l'utilità di un lavoro politico contiguo ma autonomo, che si svolge storicamente in un altro luogo. Nulla da dire anche sulla strada presa da Sinistra democratica, cui vanno gli auguri più sinceri di farcela. Rimane, però, tutta quanta la questione della ridefinizione di un vasto e non minoritario territorio riformatore, in cui riescano a convivere storie e culture diverse. Non arrendendosi all'idea che vi sia un inesorabile steccato tra un universo in grado di esprimere culture di governo e un mondo chiamato per opportunistica comodità "sinistra radicale". E non vanno interrotti i canali di confronto, di collegamento. Ad esempio, perché non avere un nuovo centro di elaborazione, formazione e ricerca che integri e superi i numerosi che esistono oggi o, quanto meno, li coordini?
Per tutto questo serve tanta voglia di iniziativa politica, cercando di contribuire a ridare un po' di senso e di autorevolezza ad una sfera - quella del Politico - che nella deriva liberista è scesa di categoria e ha perso molta parte della sua funzione democratica.
Certo che l'esito non è scontato. Affatto. I rischi che il Pd divenga una scatola vuota ci sono, eccome. Come pure che non poca parte dei ceti dirigenti di Ds e Margherita cerchino di "sovradeterminare" tutto quanto. Non riusciranno, ma i danni potrebbero essere altissimi. No. Serve invertire subito la rotta e mutare anche il modo di pensare alla politica, ora che la prepotente rivoluzione dei linguaggi mediatici e post-mediatici ci ha tolto la vecchia terra sotto i piedi. Dobbiamo, insisto, ricostruire dovunque si può la soggettività di sinistra. Del resto la storia sarà lunga, visto che la posta in gioco non è una polemica congiunturale, quanto la ristrutturazione della stessa politica.
Sono alcune delle ragioni che hanno spinto diversi di noi, al di là di vecchie mozioni di un congresso così vicino ma così lontano, a immaginare una lista esplicitamente di sinistra a sostegno della candidatura di Veltroni. Sulla base di nette scelte programmatiche (la pace come linguaggio della globalizzazione, l'appartenenza alla sinistra europea, la battaglia per il lavoro e il Welfare contro la precarietà e le povertà, la laicità delle istituzioni, la valorizzazione della contraddizione di genere, i nuovi diritti di cittadinanza della società della comunicazione, l'accesso libero ai saperi, l'ecologia dello e nello sviluppo, la riforma dei media e il superamento del conflitto di interessi). Nel quadro della difesa della Costituzione.
Per dare un contributo utile ad un'ispirazione comune e nella speranza che tutto ciò contribuisca pure a rompere il clima di una certa nostra storia per cui le parole di sinistra sono monopolio di qualcuno.
E' bene che tornino ad esserlo di una comunità diffusa e che siano fatte proprie innanzitutto da chi si è stufato di una certa antica politica e ha la tentazione permanente di lasciar perdere. In silenzio e senza folklore.
Vincenzo Vita su “Liberazione” INTERVENTO domenica 12 agosto 2007 “Un Pd di sinistra? Io ancora ci credo”
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