Sessantatre anni fa un Partito Democratico già c’era in Italia. Si chiamava come qualcuno avrebbe voluto chiamarlo anche adesso: Partito Democratico del Lavoro. L’ispirazione laico-riformista si intuisce solo a leggere i nomi dei principali esponenti: Ivanoe Bonomi, Meuccio Ruini (nella foto), Enrico Molè.
In realtà si chiamava Democrazia del Lavoro, la cui sigla DL, è un’altra assonanza ai “DL-La Margherita” di oggi. Il 13 giugno 1944 assunse la denominazione di Partito Democratico del Lavoro con cui si presentò alle elezioni del 1946, le prime dopo la dittatura fascista, le prime con il voto alle donne, le elezioni con cui si votava l’Assemblea costituente (e anche il referendum repubblica/monarchia). Il PDL prese 40.633 voti, pari allo 0,18%, corrispondenti a un seggio. Ma suoi esponenti si candidarono anche con la coalizione liberale dell’Unione Democratica Nazionale ottenendo 13 seggi.
Quelle elezioni segnarono la nascita dei partiti popolari di massa, con gli 8 milioni, 101mila e 4 voti alla Democrazia Cristiana; i 4 milioni, 758mila, 129 voti al Partito Socialista Italiano; i 4 milioni, 356mila, 686 voti al Partito Comunista Italiano.
Come accadde al Partito d’Azione, anche il PDL si sciolse andando a confluire nel Partito Social Democratico Italiano, anche se Bonomi e Ruini preferirono iscriversi al Gruppo Misto, e altri costituirono un gruppo parlamentare solo grazie all'apporto di Alessandro Scotti e del suo Partito dei Contadini d'Italia.
Meuccio Ruini, tuttavia, per il ruolo avuto all’interno del Comitato di Liberazione Nazionale, fu scelto come presidente della “Commissione dei 75”, incaricata di redigere il testo della Costituzione della Repubblica italiana.
venerdì 17 agosto 2007
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