Sull’Unità di stamattina, un articolo di Gianfranco Pasquino (nella foto), dal titolo “Pd, nuovo partito nuovo programma”, propone alcuni argomenti interessanti specie per la Puglia, dove alla segreteria regionale si candida il sindaco di Bari, Michele Emiliano. Lo riproponiamo di seguito.
Finora, chi più, Veltroni, chi meno, anche per minori mezzi a loro disposizione, Rosy Bindi ed Enrico Letta, i tre maggiori candidati alla segreteria del Partito Democratico, si sono espressi su tematiche generali, su elenchi di politiche, anche belle, da fare, sulla loro visione di quello che un governo piuttosto che un partito, nuovo, dovrebbe fare. Non c'è niente di male in questo: più idee, buone, circolano, meglio è anche per l'insieme del centro-sinistra. È anche giusto adoperarsi affinché un partito, soprattutto in ragione della sua novità, riesca a dotarsi di un programma di respiro e di lungo periodo. Era qualcosa di cui, ad esempio, i socialdemocratici tedeschi si sono sempre vantati, salvo poi avere non pochi problemi nel tradurre in pratica il loro programma "fondamentale".
Tuttavia, un partito a vocazione maggioritaria ha quasi il dovere di formulare un programma nuovo, diverso e persino aggiuntivo rispetto a quello vigente dell'Unione. Però, non dimentichiamo che questa effervescenza programmatica implica un rischio che Bindi ha subito cercato di sventare. Il rischio è che il leader del partito democratico prossimo venturo, attrezzato (appesantito?) dal suo programma, non finisca per apparire, inevitabilmente, persino contro le sue intenzioni e contro la sua volontà, come il successore designato al capo dell'attuale governo, Romano Prodi, per di più se confortato da qualche milione di voti di coloro che si iscriveranno al partito.
Anche una volta che fossimo soddisfatti dalla sfida programmatica fra i candidati, rimarrebbe quello che considero essere il problema vero.
L'esigenza di un nuovo partito nasce dalla constatazione che i due, neppure troppo vecchi, partiti contraenti hanno espresso e maturato, dello stallo del loro consenso elettorale che non cresce, anzi risulta stabilizzato a livelli piuttosto insoddisfacenti. Lo stallo potrebbe essere conseguenza di programmi inadeguati, ma potrebbe anche essere, questa è, comunque, la mia opinione, un problema che deriva dalla inadeguatezza e fragilità della struttura dei due partiti. Qualche anno fa, sulla scia dell'ennesima sconfitta elettorale nel Nord, Fassino e Bersani avevano lanciato l'idea di un partito del Nord, alla quale si era immediatamente dichiarato disponibile anche Enrico Letta. Recuperare nel Nord, insediarvisi efficacemente, a partire da Milano, non è soltanto un'operazione elettoralistica, è soprattutto una grande, eccitante operazione politica di enorme rilievo. Significa riannodare rapporti con settori avanzati della società (di cui, peraltro, il Nord non ha l'esclusiva, ma certamente una importante sovrarappresentanza). Significa ottenere input e legittimazione aggiuntiva.
Quell'idea non è mai, colpevolmente, stata tradotta in effettiva e tenace pratica e il centro-sinistra continua ad annaspare nel Nord, a perdere regolarmente, ad essere debole, in qualche cosa irrilevante, se non inesistente. Chi desidera ricostruire la politica in regioni dove l'antipolitica continua ad essere sulla cresta dell'onda, sará opportuno dotarsi di un'organizzazione partitica all'altezza della sfida. In materia, non ho finora sentito parole adeguate da Veltroni, Bindi, Letta. Quanto al rinnovamento del partito, alcune regole interne dovranno essere molto rigorosamente formulate affinché si sappia in base a quali criteri il nuovo partito recluterà, promuoverà, sostituirà i suoi dirigenti e i suoi candidati alle cariche elettive: quote e limite ai mandati? Si dice che troppi candidati nelle liste a sostegno dei tre papabili segretari stiano posizionandosi per il futuro prossimo, addirittura costruendo liste istituzionali.
Sarebbe stato bello, come ho letto in un sito ulivista (www.welfarecremona.it) se fosse stata introdotta la regoletta che almeno la metà dei partecipanti all'Assemblea Costituente si impegna a non ricoprire cariche elettive nei prossimi cinque anni, e quindi a non fare regole che possano giovare soprattutto a loro.
Infine, si è già aperto il problema della struttura correntizia del prossimo partito. Molte opinioni, ma anche storie comuni e condivise, culture politiche che, invece di contaminarsi, si proteggono, troppo difficile imporre vera competizione e ricambio: sono queste le giustificazioni per accettare la presenza di correnti, che inevitabilmente vorranno posti e cariche, ma quanto ferreamente organizzate?. Quale è in materia la posizione dei candidati alla segreteria del Pd? Un partito di correnti, come dimostrò spesso brillantemente la Democrazia Cristiana, non è certamente il male assoluto. Non è altrettanto certamente, come dimostrò il Psi prima di Craxi, neppure il bene assoluto. Allora dicano i candidati che cosa sono disposti ad accettare e che cosa vogliono, invece, contrastare e impedire. Insomma, credo che sia legittimo esigere nei prossimi due mesi che tutti i candidati delineino il modello di partito da loro preferito e lo discutano in pubblico. Magari anche in confronti "all'americana" che consentano ai loro elettori di farsi più che un'idea e anche in base alle conoscenze acquisite decidano se votarli oppure no. Il resto verrà, in parte, ma solo in parte, affidato all'Assemblea Costituente dove è molto preferibile arrivare con progetti di modelli in avanzato stato di formulazione poiché 2.500 partecipanti non potranno certamente scendere nei dettagli. Chi vuole un partito nuovo e lo promette ha anche il dovere di dire quanto nuovo e come potrà essere in termini di struttura, di radicamento, di cultura politica, di democrazia interna.
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